Teatrografia

BENE CARMELO

a cura di Cristina Reggio

Nella vastissima produzione di Carmelo Bene, si sono scelti i seguenti spettacoli i cui documenti audio-video sono consultabili in rete e che costituiscono un primo nucleo ragionato sul lavoro sonoro di C.Bene. Si tratta di due spettacoli teatrali, Romeo e Giulietta del 1976, Macbeth del 1996, e di uno spettacolo di cui Bene ha realizzato anche una versione televisiva, il Pinocchio. Nei primi due la voce e i suoni hanno un preciso ruolo drammaturgico, in armonia con il registro visivo, mentre nel Pinocchio, come è evidente nel film realizzato dal regista per la televisione nel 1999, la sola voce “metamorfica” di Bene si disloca di continuo all’interno della storia. Lo stesso fenomeno accadeva anche nello spazio dei teatri (dove Bene ha realizzato diverse edizioni del suo Pinocchio, dal 1961) anche attraverso un uso inedito di dei distorsori e amplificatori.

Macbeth – horror suite

di Carmelo Bene da W. Shakespeare,nel Centenario della nascita di A. Artaud;
regia C. Bene, musiche di G. Verdi
scene T. Fario;
costumi L. Viglietti;
arrangiamenti musicali di Carmelo Bene.
con S. Pasello;
cfr. l’intervista di Laure Adler a C. Bene all’Odéon, Parigi,  1996, A propos del Carmelo Bene, con frammenti dal Macbeth – horror suite e un frammento dal film Salomé.
Carmelo Bene qui sperimenta un utilizzo drammaturgico dell’amplificazione: le “silenziose” aperture delle porte sono violenti tuoni che deflagrano nel buio del palco, la voce di C. Bene-Macbeth si metamorfosa da umana ad animale a inorganica.  Anche la voce, che è corpo, si fa “macchina teatrale”, assemblaggio meccanico di “umori”.

Pinocchio, ovvero lo spettacolo della Provvidenza, riduzione e adattamento da C. Collodi

Pinocchio (qui trovi il focus a cura di Donatella Orecchia) è  un’opera teatrale andata in scena per la prima volta nel 1961 al Teatro Laboratorio di Roma. Ha avuto altre tre edizioni teatrali nel 1966, 1981 e 1998, una versione adattata per la televisione nel 1999, tre edizioni radiofoniche e una disco.

Edizione TV, 1999, Pinocchio, ovvero lo spettacolo della Provvidenza; riduzione e adattamento da Carlo Collodi di Carmelo Bene; regia e interprete principale C.B., musiche G. Giani Luporini; scene e maschere T. Fario; costumi L. Viglietti; direttore della fotografia G. Caporali; montaggio F. Lolli; altri interpreti: S. Bergamasco; luci spettacolo D. Ronchieri;fonico A. Macchia; assistente alla regia M. Lamagna; postproduzione audio C. Bocci; postproduzione in Edit box C. Bonavita; direttore di produzione G. de Vizio; produzione RAI e Nostra Signora S.r.l.; durata 75’; trasmesso il 29/5/1999, Rai 2.

Il Pinocchio è uno spettacolo che dal 1961 ha attraversato tutta la sua vita e l’edizione del 1998 è anche uno tra i suoi ultimi spettacoli realizzati.  Qui affronta la macchina attoriale attraverso un utilizzo inedito del play- back: “sono le voci di Carmelo, a svettare: quella prodiga e catarrosa del papà-falegname, quella sentenziosa del Grillo, quella burbera di Mangiafuoco, quella imbonitrice della Volpe, quella mascalzona di Lucignolo.”(Rodolfo di Giammarco, in la Repubblica, 22-03-2003). Tutte le voci sono sue, mentre le fattezze dei personaggi femminili sono di Sonia Bergamasco.

Romeo e Giulietta, storia di Shakespeare secondo Carmelo Bene

Musiche originali di Luigi Zito
L’intento dell’autore, come lui stesso dice in apertura della traccia audio che lo documenta su Youtube,  è di “svolgere non una ma La Storia di Shakespeare, attraverso un’opera minore, […] la meno riuscita [una tragedia mancata secondo Bene, ndr.], spiata tra le pieghe dei Sonetti shakespeariani, al di là della poetica drammatica […]. Un saggio su Shakespeare, in cui i personaggi sono depsicologizzati, ricondotti a umori, gli umori del poeta addormito […]”.  Secondo la testimonianza di Daniel Deshais, (in  Pour une écriture du son, Klincksieck, 2006 [p.125], che nel 1977  assistette alla replica dello spettacolo in occasione del  Festival d’Automne a Parigi, la scena era  una gigantesca tavola apparecchiata per un solo commensale, con un enorme piatto (che fungeva da canapé) e un bicchiere (che fungeva da palazzo-torre per Giulietta). Gli attori erano provvisti di microfoni hifi, e le voci erano bisbigli, sussurri, sospiri, fortemente amplificati: il sonoro era evidentemente pensato in corrispondenza  con la  scena, in una medesima unità di contrasto eccezionale tra la “taglia lillipuziana degli attori e le voci sussurrate” (Cfr. Deshais, 2006).

PHATOSFORMEL

a cura di Mauro Petruzziello

An Afternoon Love

di Daniel Blanga Gubbay e Paola Villani
con Joseph Kunsedila
con la collaborazione di Andrea Corsi
Un giocatore di basket in scena. Lo spettatore assiste a un suo allenamento. È sicuramente lo spettacolo più minimale dei Pathosformel. Se nei precedenti lavori si indagava sulla presenza del performer in scena, in questo si riflette sul senso della spettacolarità, quasi guidati da una domanda: una semplice azione sportiva può, nel frame offerto dal teatro, divenire spettacolare? Proprio per la sua natura minimale, An Afternoon Love richiede un’attenzione al dettaglio. Così, in uno spettacolo che, sotto il profilo acustico, si presenta quasi totalmente muto, il suono assume una densità aleatoria, generato del rumore dei movimenti del giocatore e dell’attrito prodotto dalle scarpe da ginnastica sul pavimento. In un frangente, il giocatore aziona un vecchio registratore a cassetta, non amplificato da alcun microfono, da cui ci si aspetterebbe provenire una musica consona ad un estenuante allenamento. Invece si sprigiona un lied di Mahler, Ich Bin Der Welt Abhanden Gekommen, il cui andamento è più volte fermato dallo stesso giocatore attraverso il tasto stop e poi fatto scorrere in indietro con il tasto rewind, quasi a ricercare il “momento perfetto”. Tale musica, in netta controtendenza con la scena proposta, devia l’immagine complessiva verso altri lidi e diviene, nelle intenzioni dei Pathosformel, evocativa della metafora sottostante allo spettacolo: lo scorrimento del nastro e la ricerca di un punto preciso indica “la piacevole ossessione del ritorno su dettagli specifici [che] appartiene alle storie d’amore” (per questa citazione si veda, anche in questo caso, l’intervista a Daniel Blanga Gubbay in questo sito).

La più piccola distanza

di Daniel Blanga Gubbay e Paola Villani
in collaborazione con Danilo Morbidoni e Alberto Napoli
La ricerca dei Pathosformel è ancora orientata sulla questione della presenza in scena e del suo statuto. Anche in questo lavoro non sono visibili i performer, ma il movimento dei quadrati che scorrono in scena e assomigliano alle note del gregoriano è il riverbero dell’azione che essi producono per farli scorrere. Tale azione, di natura poeticamente artigianale, produce un lieve e costante rumore, uno scricchiolio che entra nella dimensione sonora dello spettacolo accanto al suono caldo e “umano” dell’harmonium suonato live da Daniel Blanga Gubbay e dai violini. Il suono totalmente acustico esalta la dimensione artigianale di cui sopra. La più piccola distanza nasce dall’estrema stilizzazione dei movimenti che si possono osservare su una piazza durante una giornata. Ma, allo stesso tempo, evoca una vecchia partitura in movimento, la cui “traduzione” sonora è eseguita dal vivo

La timidezza delle ossa

di Daniel Blanga Gubbay, Francesca Bucciero e Paola Villani
in collaborazione con Milo Adami
segnalazione speciale al Premio Scenario 2007
Premio Ubu 2008
Lo spettacolo è una sfida al concetto di performatività. La domanda a cui sembra rispondere è: qual è il limite a cui si può tendere la presenza del performer? In scena, un telo bianco in PVC, che assomiglia a uno schermo cinematografico. I performer, dietro il telo, producono azioni che si imprimono come bassorilievi su di esso, in un gioco di apparizione e sparizione fantasmatica di ossa, seni, glutei, muscoli addominali. Il registro sonoro nasce, secondo la stessa volontà dei Pathosformel, per “sovrascrivere” le immagini prodotte dischiudendone e amplificandone i significati (per questo concetto, come per una più estesa trattazione delle tematiche sul suono in scena, si veda l’intervista a Daniel Blanga Gubbay in questo sito). Su drones spiraliformi vengono affrescati scricchiolii, rumori, risate, spettrali voci registrate il cui andamento appare strappato o tagliato per amplificarne la natura spaesante.

SANTASANGRE

a cura di Mauro Petruzziello

84.06

Ideazione: Diana Arbib, Luca Brinchi, Maria Carmela Milano, Pasquale Tricoci, Dario Salvagnini
Musiche originali ed elaborazione dal vivo: Dario Salvagnini
Luci: Maria Carmela Milano
Elaborazione video dal vivo: Diana Arbib, Luca Brinchi
Con: Stefano Cataffo
Voce: Roberta Zanardo
Lo spettacolo è liberamente ispirato al romanzo 1984 di George Orwell. Insieme al successivo Spettacolo sintetico per la stabilità sociale (2007) è l’unico lavoro della recente produzione dei Santasangre in cui viene usata la parola. In Faust (2005) l’uso della parola risentiva ancora di un’impostazione tradizionale. In 84.06, la voce registrata di Roberta Zanardo ha un tono prevalentemente imperativo e richiama la voce della donna “grande fratello” a cui Orwell si riferisce in 1984. La lingua usata è volutamente povera, primitiva, con parole talvolta unite fra loro con un processo di crasi: esprime semplicemente la volontà del comando. Il registro sonoro agisce in analogia con le immagini, sottolineandole o generandole. I suoni, prevalentemente metallici, vengono trattati secondo i dettami della granularizzazione e spesso sottoposti ad effetti di delay. Al timbro metallico si aggiunge il trattamento del suono di violoncello e violino. A proposito dell’orizzonte acustico di questo spettacolo, Dario Salvagnini scrive: “L’allucinazione visiva è anche sonora. Con l’illusione acustica di Risset (un glissato ascendente o discendente senza un’apparente fine) il suono è portatore di infinito, di una condanna infinita. L’oblio sonoro è l’oblio del protagonista, il suo dolore rappresentato acusticamente. Brusii, radio distanti, ordini distorti e voci secche accompagnano lo spettatore. […] La scena è meticolosamente controllata: il video e l’audio lavorano insieme per il controllo mediatico/mentale del condannato. […] L’emissione sonora non è statica, cerchiamo di avere più sorgenti sonore, di ricreare un ambiente, non limitandoci a un ascolto passivo del pubblico. Utilizzando file di casse dall’alto intendiamo ingabbiare lo spettatore come l’attore, fargli vivere quella claustrofobia data da una fonia a 360 gradi. […] La forma racchiude il caos per portarlo in scena in una corrispondenza tra immagine visiva e immagine acustica”. (Funzioni precise mutevoli nel tempo. Studi per un’architettura sonora, in M. Petruzziello –a cura di, Iperscene, Roma, Editoria & Spettacolo, 2007, p. 182).

Seigradi

Voce e violino – H.E.R.; violoncello – Viola Mattioni; fiati – Giacomo Piccioni
Ideazione: Diana Arbib, Luca Brinchi, Maria Carmela Milano, Pasquale Tricoci, Dario Salvagnini, Roberta Zanardo
Corpo e voce: Roberta Zanardo
Visual Designer 3D: Piero Fragola
Registrazioni: voce e violino – H.E.R.; violoncello – Viola Mattioni; fiati – Giacomo Piccioni
Elaborazione video dal vivo: Diana Arbib, Luca Brinchi, Pasquale Tricoci
Partitura sonora ed elaborazione dal vivo: Dario Salvagnini
Animazione 3D (acqua): Alessandro Rosa
Realizzazione costume di scena: Maria Carmela Milano in collaborazione con Fiamma Benvignati
Fotografia di scena: Laura Arlotti
Organizzazione: Elena Lamberti
Seigradi nasce da una serie di studi il cui titolo evidenzia la sua natura fortemente musicale: Concerto per voce e musiche sintetiche. Il termine concerto va assunto nella valenza di concertazione, laddove innumerevoli linguaggi (suono, video, uso della luce, presenza del corpo in scena) vanno a formare un tutt’uno spettacolare. Il tema evocato – la nascita di una forma di vita, la sua evoluzione e la sua morte dovuta alla desertificazione generata da un innalzamento della temperatura terrestre – è articolato secondo la forma-sonata su cui si adagiano tutti i grumi tematici e l’uso dei linguaggi della scena: all’introduzione corrisponde l’aria e un cromatismo legato al bianco; all’esposizione l’acqua e il colore blu; allo sviluppo il fuoco e il rosso; alla ripresa e chiusura la terra e i colori del deserto. Il suono, secondo la compagnia, conferisce significato emotivo alla scena. L’uso della voce, in parte live e in parte registrata, subisce la stessa evoluzione degli altri linguaggi dello spettacolo, che va dalla nascita (caratterizzata da toni bassi, singulti, piccoli schiocchi, lallazioni) alla pienezza espressa dal canto di una melodia senza parole e alla sua successiva esplosione e disarticolazione, fino ad una totale assenza, segno di morte.

TEATRO DELLE ALBE

a cura di Ida Vinella

Nella vasta produzione del Teatro delle Albe, scegliamo di concentrare la nostra attenzione sul lavoro vocale di Ermanna Montanari, selezionando quelli che ci sembrano gli spettacoli più significativi dal punto di vista della drammaturgia sonora, delle infinite possibilità di interazione del corpo-voce con la macchina sonora.

L’isola di Alcina, concerto per corno e voce romagnola

L’isola di Alcina, concerto per corno e voce romagnola
Testo: Nevio Spadoni
Suono: Luigi Ceccarelli
Ideazione: Marco Martinelli, Ermanna Montanari. Musica e regia del suono: Luigi Ceccarelli. In scena: Ermanna Montanari, Laura Redaelli e Francesco Antonelli, Luca Fagioli, Roberto Magnani, Danilo Maniscalco, Alessandro Renda. Progetto luci: Vincent Longuemare. Scene e costumi: Cosetta Gardini, Ermanna Montanari. Direzione tecnica: Enrico Isola. Scenotecnica: Cristina Campri, Giorgio Senni. Assistenza luci: Francesco Catacchio, Gerardo De Vita. Assistenza suono: Giovanni Belvisi. Assistenza scenografica “congrega Alcina”: Paola Belletti, Melissa Cappelli, Francesca Gobbi, Anna Magnani, Eleonora Martoni, Valentina Venturi. Assistenza scenotecnica: Gerardo De Vita, Andrea Mordenti. Realizzazione muro: Francesco Montelli. Maschere dei cani-cavalieri: Il laboratorio dell’imperfetto. Regia: Marco Martinelli.
Produzione: La Biennale di Venezia, Ravenna Festival, Teatro delle Albe-Ravenna Teatro.
Venezia, Teatro Goldoni, 8 giugno 2000.
Il testo è contenuto nel cd L’isola di Alcina, Teatro delle Albe-Ravenna Teatro, Ravenna 2000.

La mano. De Profundis Rock.

testo: Luca Doninelli
Musica e regia del suono: Luigi Ceccarelli. Ideazione: Marco Martinelli, Ermanna Montanari. Drammaturgia: Marco Martinelli. In scena: Roberto Magnani (Il guardiano dalla testa di topo), Ermanna Montanari (Isis). Scene e costumi: Edoardo Sanchi. Progetto luci: Vincent Longuemare. Assistente luci: Francesco Catacchio. Assistente suono: Giovanni Belvisi. Assistenti scene: Cristina Del Zotto, Paolo Fantin. Assistente alla regia: Maurizio Lupinelli. Direzione tecnica: Enrico Isola. Realizzazione scene: Fabio Ceroni, Luca Fagioli, Danilo Maniscalco, Dennis Masotti (squadra tecnica Teatro delle Albe) e Giuseppe Maniscalco. Registrazione in studio chitarre elettriche: Marco Biniero, Gabriele Bombardini. Realizzazione maschere: Francesca Pambianco. Promozione: Francesca Venturi. Regia: Marco Martinelli.
Produzione: Le manège.mons-Centre Dramatique, Ravenna Festival, Teatro delle Albe-Ravenna Teatro, Le Phenix-Scène Nationale de Valenciennes, in collaborazione con Festival delle Colline Torinesi, Comune di Ravenna e Edisonstudio-Roma. Ringraziamenti: Cristina Bonfanti, Cosetta Gardini, Ivano Marescotti, Francesca Proia, Antonio Rinaldi, A.N.G.E.L.O., Daniel Cordova e la squadra tecnica e organizzativa di Le manège.mons.
Mons, Les Arbalestriers, 18 febbraio 2005.
Il testo è contenuto nel cofanetto La mano. De profundis rock, Teatro delle Albe, luca sossella editore, Roma 2006.

Overture Alcina

Suono: Luigi Ceccarelli
In questo lavoro, la voce dell’attrice, attraverso l’uso del dialetto romagnolo, mette in dialogo le proprie possibilità sonore con quelle elettroacustiche che il compositore Luigi Ceccarelli orchestra dal vivo. Ne deriva un dialogo musicale, concertistico e teatrale che attraversa l’idea di risonanza tra voce, lingua e musica. La collaborazione con Ceccarelli e l’Ouverture Alcina, segnano il passo decisivo dell’attrice verso l’uso dell’amplificazione come elemento essenziale di ricerca e l’interazione corpo-macchina diventa la componente fondamentale di questo lavoro. La relazione tra scena e suono si autodetermina in corso d’opera e questo permette alla parola stessa d’essere rifondata sulla scena in un divenire che ne influenza radicalmente la drammaturgia. Poiché le parole di Nevio Spadoni, in dialetto campianese, non permettono allo spettatore di comprendere il significato del testo, è la voce, con i suoi suoni accuratamente amplificati, a condurre l’ascolto nel territorio di Alcina.

Rosvita, lettura concerto

Ermanna Montanari ha liberamente rielaborato la traduzione dal volume Rosvita, dialoghi drammatici, a cura di Ferruccio Bertini, Milano, Garzanti, 2000. Rosvita è una lettura – concerto in cui la performatività vocale di Ermanna Montanari invade completamente lo spazio annullando ogni altra funzione spettacolare: un leggio e un’isola di luce che evidenzia il soggetto mettendo a fuoco la sola figura recitante della voce. Questo spettacolo ha come veicolo essenziale la parola, che la voce, nella sua potenza estrema e carismatica, porta con sé, modulandosi al canto gregoriano eseguito dal vivo alle spalle del podio, altare sacro in cui la voce dell’attrice è inquadrata nel suo infinito e travolgente trasformismo espressivo.

Rosvita, lettura concerto
di Ermanna Montanari
In scena: Cinzia Dezi (poi sostituita da Sara Gandolino), Michela Marangoni, Ermanna Montanari, Laura Redaelli. Spazio-luce: Enrico Isola, Ermanna Montanari. Assistente progettazione spazio-luce: Claire Pasquier. Direzione tecnica: Enrico Isola. Musiche originali e sound design: Davide Sacco. Consulenza musicale per il canto gregoriano: Elena Sartori. Realizzazione scene: Fabio Ceroni, Luca Fagioli, Danilo Maniscalco, Massimiliano Rassu (squadra tecnica Teatro delle Albe). Foto e collage: Claire Pasquier. Cura grafica: Barbara Fusconi. Promozione: Silvia Pagliano, Francesca Venturi. Regia: Marco Martinelli.
Produzione: Teatro delle Albe-Ravenna Teatro in collaborazione con Ravenna Festival e deSidera Bergamo Teatro Festival. Ringraziamenti Luca Doninelli, Nando Randi e Giuseppe Padula per la concessione della Galleria Ninapì, Franco Fussi, MAGADIS International Music Agency, A.N.G.E.L.O., Space, Anna Ferrante Sacco.
Ravenna, Rocca Brancaleone, 20 giugno 2008.
L’autrice ha liberamente rielaborato le traduzioni dal volume Rosvita. Dialoghi drammatici a cura di Ferruccio Bertini, Milano, Garzanti 2000.